mercoledì 23 aprile 2014

Responsabilità sociale d’impresa: quando l’etica entra nel marketing


Con responsabilità sociale d’impresa (RSI), o corporate social responsibility (CSR), si intende l’assunzione di responsabilità da parte delle imprese circa l’impatto prodotto dalle proprie attività e iniziative sull’ambiente circostante. Questa viene definita dalla Commissione Europea come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”.
Alcuni esempi di RSI sono il prestare attenzione all’impatto del ciclo produttivo sull’ambiente, alla sicurezza dei lavoratori e della popolazione in prossimità dell’impresa e all’impatto sociale delle politiche aziendali nei confronti degli stakeholder. Le iniziative intraprese dalle imprese, inoltre, si possono estendere a diverse attività quali sponsorizzazioni di eventi culturali, donazioni a organizzazioni no profit, partecipazione a campagne di marketing sociale,…
La responsabilità sociale d’impresa nasce dalla consapevolezza che l’organizzazione non è separata dall’ambiente sociale in cui opera e, pertanto, deve prestare attenzione ai bisogni di tutti gli stakeholder, cioè i “portatori di interesse” quali dipendenti, consumatori, concorrenti, l’intera collettività e l’ambiente, e non solo degli shareholder, cioè gli azionisti.
I consumatori di oggi, infatti, sono dei soggetti attivi, critici e responsabili che prestano sempre una maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente e al rispetto di adeguate condizioni lavorative. Questa maggiore attenzione spinge le imprese ad andare oltre il semplice prodotto venduto, concentrandosi su aspetti più immateriali legati ai valori delle persone.
La RSI, quindi, non rappresenta un costo per l’impresa bensì un investimento: si ha un rafforzamento dell’immagine dell’azienda che favorisce un vantaggio competitivo sia a breve che a lungo termine.

Un esempio di azienda particolarmente attiva da questo punto di vista è United Colors of Benetton, che da sempre si impegna in campagne di sensibilizzazione e sviluppo sostenibile. Nel sito web dell’azienda, www.benettongroup.com/it/, è infatti possibile trovare un’intera sezione dedicata alla sostenibilità in cui sono raccolte tutte le iniziative intraprese dal gruppo a tutela dell’ambiente e delle popolazioni più povere.

                        Dal 2010 Benetton utilizza appendiabiti completamente riciclabili.


E voi come consumatori prestate attenzione a questi elementi quando dovete scegliere una determinata marca?
Conoscete altre aziende che si impegnano in attività di responsabilità sociale?
Fatemelo sapere nei commenti!


Bibliografia

Tamborini, S. (1992). Marketing e comunicazione sociale. Lupetti, Milano

De Carlo, N. A., Falco, A., Vianello, M. (2009). Marketing sociale, responsabilità e sostenibilità. Psicologia delle organizzazioni. Raffaello Cortina, Milano. 

venerdì 4 aprile 2014

Il ruolo della paura nelle pubblicità

Nel mio ultimo post (Emozioni e pubblicità: quando l’umore influenza la persuasione) ho fatto riferimento alla manipolazione dell’umore utilizzata nelle pubblicità per raggiungere maggiori livelli di persuasione. Le emozioni, tuttavia, rappresentano un aspetto controverso e molto difficile da gestire: è necessario trovare il giusto livello di attivazione per non correre il rischio di sotto-stimolazione o sovra-stimolazione. Un esempio di emozione particolarmente difficile da gestire è la paura. Questa viene utilizzata soprattutto in quelle pubblicità che vogliono promuovere la salute o determinati comportamenti preventivi. Si potrebbe pensare che i risultati maggiori si ottengano con i livelli più elevati di paura, molto spesso, tuttavia, una paura eccessiva causa negli spettatori una reazione contraria. 
Una paura troppo grande, infatti, non risulta gestibile e va ad attivare dei meccanismi di negazione nella persona che, non riuscendo a controllare l’eccessiva ansia, ignora o nega il messaggio. Per questi motivi, quindi, risultano maggiormente efficaci i livelli più bassi di paura in quanto hanno una maggiore probabilità di produrre dei cambiamenti comportamentali.
Secondo la Teoria della motivazione alla protezione di Maddux e Rogers, infatti, la tendenza delle persone a mettere in atto dei comportamenti di protezione dipende dalla soddisfazione di quattro criteri fondamentali:

  1. la percezione della gravità del problema;
  2. la percezione di un senso di vulnerabilità che facilita l’identificazione;
  3. la sensazione che il comportamento raccomandato è efficace per fronteggiare la minaccia;
  4. il sentirsi in grado di mettere in atto il comportamento proposto.
Un elemento che viene spesso trascurato ma che è invece di fondamentale importanza è rappresentato dall'ultimo punto: la persona deve sentirsi capace di adottare il particolare comportamento, altrimenti non si avrà nessun cambiamento concreto.




Un esempio che soddisfa tutti e quattro i criteri? Si pensi ad una pubblicità sulla sicurezza stradale in cui vengono presentate delle statistiche sul gran numero di incidenti (1° criterio), utilizzando dei protagonisti simili al gruppo target (2° criterio), passando poi alla dimostrazione di come l’uso delle cinture di sicurezza possa ridurre i danni e salvare la vita dei soggetti stessi (3° criterio). Infine, è evidente come il comportamento proposto, cioè indossare le cinture di sicurezza, sia talmente semplice da non mettere in difficoltà le persone che si sentiranno sicuramente in grado di compierlo (4° criterio). 





Al contrario risulterà poco efficace una campagna volta a ridurre l’uso di droghe o alcol in cui non viene specificato uno specifico comportamento da mettere in atto: le persone, infatti, non si sentono in grado di smettere autonomamente e il messaggio, quindi, non avrà probabilmente l'effetto sperato.




E voi cosa ne pensate? Come dovrebbe venir utilizzata la paura per ottenere maggiori risultati?


Bibliografia
Maddux, J. E., & Rogers, R. W. (1983). Protection motivation and self-efficacy: A revised theory of fear appeals and attitude change. Journal of experimental social psychology19(5), 469-479.