sabato 28 giugno 2014

Fusioni organizzative: il punto di vista delle risorse umane


Le fusioni organizzative stanno diventando una strategia sempre più utilizzata per favorire la crescita e lo sviluppo delle imprese. In particolare, si parla di fusione quando due o più imprese cessano di esistere singolarmente e, con un ruolo paritario, danno origine ad un terzo ente che di solito assume un nuovo nome.
Tale strategia viene fortemente utilizzata poiché permette di rafforzare le competenze e la competitività dell’impresa consentendole di ottenere l’accesso a nuove opportunità di mercato. In questo modo, infatti, si può riuscire a coprire una maggiore estensione geografica, a inserirsi in nuovi mercati e a migliorare le prestazioni lavorative. Nonostante questi potenziali vantaggi, le fusioni organizzative sono delle operazioni molto delicate che richiedono molta attenzione e una precisa pianificazione in modo da poter monitorare i suoi sviluppi. Spesso, ed erroneamente, le fusioni vengono studiate e pianificate nei minimi dettagli solo da un punto di vista economico/finanziario trascurando l'elemento base delle organizzazioni: le risorse umane. I frequenti fallimenti che accompagnano tali operazioni, infatti, possono essere attribuiti al fatto di non aver preso sufficientemente in considerazione il fattore umano. Tale cambio di prospettiva è necessario e fondamentale in quanto le fusioni comportano un’imposizione di una nuova identità organizzativa che genera competitività tra i gruppi pre-fusione e ingroup bias (ciascun gruppo tende cioè a considerare se stesso in termini più positivi rispetto agli altri gruppi). Affinché le fusioni abbiano successo è quindi necessario che i dipendenti abbandonino la loro identità organizzativa precedente per mettere in atto comportamenti cooperativi nei confronti dei nuovi colleghi.
A questo proposito può essere utile far riferimento alla Teoria dell’Identità Sociale di Tajfel e alla Teoria della Categorizzazione di Sé di Turner che, studiando i rapporti inter-gruppi, ben si adattano a queste dinamiche. Secondo tali teorie, infatti, i dipendenti tendono a categorizzare se stessi come membri dell’organizzazione pre-fusione, valorizzandola e sottolineandone le qualità rispetto alle altre organizzazioni, che vengono così considerate degli “avversari”. Tale rivalità può venir considerata proprio una conseguenza della motivazione dei gruppi a voler dimostrare la propria superiorità all'interno della nuova organizzazione.

Dunque come dovrebbero venir gestite le fusioni organizzative?
Per ridurre la competizione tra i gruppi e le reazioni negative che seguono le fusioni, può essere utile promuovere lo sviluppo di una nuova identità organizzativa basata sull'idea di un ingroup comune: i dipendenti devono quindi sentirsi parte di un unico gruppo e di un’unica realtà organizzativa. Questo può essere ottenuto facendo un frequente uso del “noi” per riferirsi alla nuova organizzazione, facilitando così l’identificazione dei dipendenti. Può inoltre essere utile fare riferimento al confronto con altre organizzazioni che appartengono all’outgroup (dinamiche “noi” versus “loro”), come se rappresentassero una sorta di nemico comune. Un’ulteriore strategia può riguardare il favorire la vicinanza e il contatto tra i dipendenti, ad esempio stabilendo degli obiettivi organizzativi raggiungibili solo tramite la cooperazione e la condivisione delle informazioni. Infine può dimostrarsi utile porre l’attenzione sulle caratteristiche distintive della nuova organizzazione, sottolineandone i pregi e i punti di forza, favorendo così la costruzione di un’identità sociale positiva nei dipendenti.

Bibliografia

M. A. Hogg & D. J. Terry, Social identity processes in organizational contexts  229-247. Philadelphia: Psychology Press.

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