Le fusioni organizzative stanno diventando una strategia
sempre più utilizzata per favorire la crescita e lo sviluppo delle imprese. In particolare, si parla di fusione quando due o più imprese cessano di esistere singolarmente
e, con un ruolo paritario, danno origine ad un terzo ente che di solito assume
un nuovo nome.
Tale strategia viene fortemente utilizzata poiché permette
di rafforzare le competenze e la competitività dell’impresa consentendole di
ottenere l’accesso a nuove opportunità di mercato. In questo modo, infatti, si
può riuscire a coprire una maggiore estensione geografica, a inserirsi in nuovi
mercati e a migliorare le prestazioni lavorative. Nonostante questi
potenziali vantaggi, le fusioni organizzative sono delle operazioni molto
delicate che richiedono molta attenzione e una precisa pianificazione in modo
da poter monitorare i suoi sviluppi. Spesso, ed erroneamente, le fusioni
vengono studiate e pianificate nei minimi dettagli solo da un punto di vista
economico/finanziario trascurando l'elemento base delle organizzazioni: le
risorse umane. I frequenti fallimenti che accompagnano tali operazioni,
infatti, possono essere attribuiti al fatto di non aver preso sufficientemente in considerazione
il fattore umano. Tale cambio di prospettiva è necessario e fondamentale in quanto
le fusioni comportano un’imposizione di una nuova identità organizzativa che
genera competitività tra i gruppi pre-fusione e ingroup bias (ciascun gruppo tende cioè a considerare se stesso in
termini più positivi rispetto agli altri gruppi). Affinché le fusioni abbiano
successo è quindi necessario che i dipendenti abbandonino la loro identità
organizzativa precedente per mettere in atto comportamenti cooperativi nei confronti dei nuovi colleghi.
A questo proposito può essere utile far riferimento alla
Teoria dell’Identità Sociale di Tajfel e alla Teoria della Categorizzazione di
Sé di Turner che, studiando i rapporti inter-gruppi, ben si adattano a queste
dinamiche. Secondo tali teorie, infatti, i dipendenti tendono a categorizzare
se stessi come membri dell’organizzazione pre-fusione, valorizzandola e
sottolineandone le qualità rispetto alle altre organizzazioni, che vengono così
considerate degli “avversari”. Tale rivalità può venir considerata proprio una
conseguenza della motivazione dei gruppi a voler dimostrare la propria superiorità all'interno della nuova organizzazione.
Dunque come dovrebbero
venir gestite le fusioni organizzative?
Per ridurre la competizione tra i gruppi e le reazioni
negative che seguono le fusioni, può essere utile promuovere lo sviluppo di una
nuova identità organizzativa basata sull'idea di un ingroup comune: i
dipendenti devono quindi sentirsi parte di un unico gruppo e di un’unica realtà
organizzativa. Questo può essere ottenuto facendo un frequente uso del “noi”
per riferirsi alla nuova organizzazione, facilitando così l’identificazione dei
dipendenti. Può inoltre essere utile fare riferimento al confronto con altre
organizzazioni che appartengono all’outgroup (dinamiche
“noi” versus “loro”), come se rappresentassero una sorta
di nemico comune. Un’ulteriore strategia può riguardare il favorire la
vicinanza e il contatto tra i dipendenti, ad esempio stabilendo degli obiettivi
organizzativi raggiungibili solo tramite la cooperazione e la condivisione delle
informazioni. Infine può dimostrarsi utile porre l’attenzione sulle
caratteristiche distintive della nuova organizzazione, sottolineandone i pregi
e i punti di forza, favorendo così la costruzione di un’identità sociale
positiva nei dipendenti.
Bibliografia
M. A. Hogg & D. J. Terry, Social
identity processes in organizational contexts 229-247. Philadelphia :
Psychology Press.
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